Con la legge n. 130 del 2 agosto 1806 Giuseppe Napoleone, re di Napoli e di Sicilia, aboliva definitivamente la feudalità, avviando quindi un progressivo cambiamento politico, burocratico ed amministrativo del Regno, con l’introduzione di nuove magistrature, che ne avrebbero profondamente modificato l’assetto istituzionale. Il territorio del Regno venne diviso in tredici province, tra cui il Principato Ulteriore, più o meno corrispondente alla attuale Irpinia, il cui capoluogo fu spostato da Montefusco, prima sede di Udienza e carcere, ad Avellino. La città di Avellino dovette dunque in fretta adeguarsi al nuovo ruolo di città-capoluogo, dotandosi di edifici atti ad accogliere i nuovi uffici e di strutture ed infrastrutture più efficienti e rispondenti alle nuove tecniche del costruire. Con il passaggio dei tribunali da Montefusco ad Avellino, divenne inoltre pressante il problema delle carceri, che fino alla fine del XVIII secolo, erano ubicate nelle stalle di palazzo Caracciolo e nei terranei di palazzi privati del centro, luoghi assolutamente squallidi ed insalubri, oltre che inadatti allo scopo. Nel 1815, un progetto dell’ingegnere Romualdo de Tommasy del Corpo Reale di Ponti e Strade, proponeva il recupero, come carceri cittadine, di parte dell’antico castello. Quindi si pensò di delocalizzare la costruzione del nuovo carcere in una zona della città più distante dal centro storico, preferendo pertanto l’ area del “Campo di Marte”, usato per le esercitazioni militari, lungo la strada che conduceva a Napoli, di proprietà del signor Ciriaco Spagnuolo. Fallita la realizzazione del progetto del “Nuovo Carcere Centrale” redatto dall’ingegnere Luigi Oberty nel 1821, giudicato negativamente dalla commissione esaminatrice del Corpo Reale di Ponti e Strade, perché ispirato a superate tecniche edilizie e ad antiche concezioni punitive, furono dettate le nuove linee-guida per la costruzione del nuovo carcere, la cui pianta «... avrà la figura di un ottagono regolare inscritto in un cerchio, dal centro di questo cerchio saranno protratti, a guisa di raggi, sedici mura delle quali otto vanno ad unirsi agli angoli dell'ottagono … di modo che la figura rimanesse divisa in sedici triangoli uguali...». Le tecniche edilizie accoglievano, in parte, le teorie del filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham, esposte nel Panopticon - la casa di ispezione - del 1791, secondo il quale gli edifici collettivi, come lazzaretti, carceri ed ospedali, dovevano essere caratterizzati dal tutto visibile e sotto controllo, tramite la costruzione di bracci indipendenti ma convergenti in un corpo centrale, con una particolare attenzione alla salubrità degli ambienti ed alla dignità delle persone. La realizzazione del nuovo progetto fu affidata quindi all’architetto Giuliano De Fazio, professionista noto anche a livello europeo, che aveva realizzato in Napoli le serre in ferro, vetro e colonnati dorici dell'Orto Botanico. Abbandonato il progetto iniziale a pianta ottagonale, si preferì la pianta esagonale, di più semplice realizzazione. La costruzione iniziò nel 1827 e nel 1832 venne completato il primo padiglione, destinato alla detenzione femminile, ed oggi sede dell’Archivio di Stato; seguirono poi il secondo braccio simmetrico, usato come infermeria ed il secondo piano della tholos centrale, corpo destinato al personale di guardia e, nel nuovo piano, a cappella, illuminata da grandi finestre e chiusa da un’elegante cupola.L’edificio ha mantenuto le sue funzioni originarie fino al terremoto del 1980, quando motivi logistici e di sicurezza, ne imposero la delocalizzazione con il successivo graduale passaggio dei detenuti al nuovo carcere, costruito in località Bellizzi e consegnato nel 1987. L'antica struttura borbonica, dopo un periodo di abbandono, durante il quale ha rischiato persino la totale demolizione, prevista da un frettoloso Piano Regolatore della città di Avellino del 1972, ma fortunatamente sventata grazie all’intervento della Soprintendenza ai Monumenti della Campania, cominciò ad essere oggetto di studi e nuovi progetti di recupero, per un rinnovato e più funzionale utilizzo sul territorio a servizio della città. Quindi, reperite le risorse economiche necessarie ad opera del Ministero della Cultura, si iniziarono i lavori di restauro, che ne hanno mantenuto la struttura iniziale, ma ne hanno completamente ribaltato la funzione.Infatti, lo storico monumento ottocentesco, da luogo di pena e di reclusione si è trasformato in cittadella della cultura, ospitando gli uffici del Ministero della Cultura – Archivio di Stato, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio - e, nei padiglioni destinati in principio alla detenzione maschile, l’Amministrazione Provinciale, con la Pinacoteca Provinciale ed il Museo Irpino del Risorgimento. Il restauro del muro di cinta, il recupero della tholos centrale e dei giardini ha consentito quindi il completo riutilizzo del monumento, che, posto al centro della città, assurge a ruolo di polo culturale, restituendo nuovi spazi alla cittadinanza in occasione di eventi culturali organizzati dal MiC, da enti, associazioni o da privati. La città di Avellino, nel suo monumento ritrovato e trasformato in cittadella della cultura, ha oggi un importante serbatoio di memorie, emozioni, immagini; nuovo e versatile luogo di incontro ed aggregazione. Il padiglione destinato in origine alla detenzione femminile, il primo ad essere costruito nel 1832, è stato utilizzato come sede degli uffici e dei depositi dell'Archivio di Stato. Ai tre livelli originari, con il piano terra occupato dalla Sala di studio e da un’ampia area espositiva, si sono aggiunti due piani interrati - costruiti ex novo secondo le più moderne tecniche, necessari per la conservazione dei documenti storici, che ora occupano circa 11.000 metri lineari di scaffalatura. L’Archivio di Stato di Avellino, nella sua rinnovata sede dal luglio del 2007, gestisce importanti servizi al pubblico, quali la conservazione e la valorizzazione del patrimonio documentario, l’attività didattica e la promozione culturale del bene documento, incrementandone la fruibilità attraverso nuovi mezzi di corredo, avvalendosi anche di strumenti informatici; il tutto nell’ottica di avvicinare un sempre maggiore numero di utenti al vastissimo patrimonio documentario della nostra provincia, attirando l’attenzione di pubblici diversi, anche non specialistici.